Qualche mattina fa, mentre ascoltavo il bravissimo Matteo Saudino (se avete voglia di ripassare un po’ di filosofia – se non addirittura di impararla, ve lo consiglio!) riflettevo sul fatto che il coaching deve la sua essenza a Socrate e al suo modo di fare filosofia.
La mia arte maieutica è simile a quella delle levatrici, ma ne differisce in questo, che essa […] provvede alle anime generanti e non ai corpi. […] questo io ho in comune colle levatrici: anche io sono sterile, sterile in sapienza.
(Socrate)
La madre di Socrate era una levatrice. Ed è proprio da lei che il filosofo prende ispirazione per definire la sua filosofia maieutica.
Poiché per Socrate la verità non può essere insegnata, perché risiede dentro ogni uomo, compito del filosofo è quello di farla emergere, portarla alla luce, proprio come una levatrice fa con un neonato.
Nel Teeto, Platone dà voce a Socrate per descrivere in cosa consiste l’arte maieutica; quella capacità del filosofo di traghettare la verità, di condurre il suo interlocutore alla ricerca delle risposte per mezzo del dialogo. Un dialogo fatto per lo più di domande del filosofo e di risposte del discepolo.
Socrate non possiede la conoscenza, eppure può condurre i suoi interlocutori alla ricerca della verità. E che cos’è il coaching se non un dialogo, tra il coach e il suo partner, volto a portare alla luce la verità del partner, per mezzo delle domande che pone il coach?